Gut Elisabetta
Informazioni
Nata il 3 settembre del 1934, dopo aver trascorso l’infanzia a Zurigo, a seguito di un periodo in collegio e il soggiorno presso una famiglia di un ferroviere, l’artista (pittrice, scultrice, poetessa visuale) rimase affascinata nei musei zurighesi dal dadaismo, surrealismo e astrattismo e il primo amore fu Paul Klee.
Nel 1945 poté arrivare a Roma (“ricordo i vagoni di legno”, dirà l’artista in un’intervista del 2013, “e gli americani che ci dicevano che eravamo belli, riempiendoci di cioccolata”) dove nel 1953 s’iscrisse all’Istituto d’Arte di Roma e in seguito alla Scuola di nudo dell’Accademia di Belle Arti, concludendo la sua formazione nel 1956, quando dava vita a creazioni seguendo inizialmente un filone pittorico postcubista.
Quell’anno si rivelò fondamentale per la sua vita: si sposò e, fra concerti e teatri, conobbe Fontana, Burri e Capogrossi, e visitò la villa di Pavarolo dove Felice Casorati (in lei riconobbe innata sensibilità vibrante) la accolse per poi organizzarle la prima personale alla Galleria d’arte Cairola di Milano, dove dopo soli due anni riscosse un notevole successo con la vendita della metà delle opere esposte.
Abbandonato ogni residuo di figurazione, alla fine degli anni Cinquanta si poté registrare un’adesione alla pittura nucleare tra grovigli neri e regolari campiture cromatiche retrostanti uniformemente distese.
Con l’avvento degli anni Sessanta, l’artista portò l’attenzione sulle potenzialità del recupero e, nel 1964, anno di realizzazione del suo primo libro-oggetto, Diario (collage e pizzo acrilico bianco, 32.5 x 33.5 x 2.5, nel quale sono annidati i ricordi della casa di famiglia, degli arredamenti e dei tendaggi fine ottocenteschi, dei libri restaurati insieme alla zia Virginia), Gut aggiunse la Pop Art tra i suoi interessi.
Gli elementi rielaborati divenivano nuovamente validi nell’ambito dell’indipendente finalità artistica.
A partire dallo stesso anno conseguì l’abilitazione all’insegnamento di Educazione Artistica e iniziò a insegnare alla Scuola Statale G. Ronconi di Roma.
Dall’anno successivo tenne corsi di pittura per gli allievi della Fondazione Fulbright continuando a mostrare la sua arte in personali sia Roma che a Milano.
Si rivelarono centrali per la sua attività artistica le mostre presso la Galleria Il Carpine di Roma (1966) e presso la Galleria Vismara di Milano (1967).
In quegli anni Gut conferiva alle sue opere una nuova epidermide: la stesura del bianco negava la precedente identità degli oggetti (spesso legati al repertorio dotale – merletti, lenzuola, iniziali alfabetiche del nome dell’autrice) presentati in una singolare unità plastica (si veda a tal proposito Silenzio, 1966, collage, bottone, clichet di giornali, sabbia, ferro, 24 x 18 cm).
Si susseguirono quadri-pizzi dove le incisioni scandivano le tele mentre ricerche ottico-oggettuali con interventi su perspex trasparente e su metallo furono protagoniste per tutti gli anni Settanta; si intensificarono le mostre [si possono ricordare quelle di Torino e Roma (1970), Monza (1973), Bergamo (1976), ancora una volta Milano e Napoli (1977)] e linee parallele venivano incise con una punta o applicate mediante pellicole adesive (si veda ad esempio Forma chiusa, 1975, plexiglas, collage con Norma-Tape, alluminio, 150 x 30 x 30 cm).
Il contatto con Soto e con altri ricercatori latinoamericani offrirono esempi su giochi di disturbo ottico.
In quel periodo, un grande impegno civile e sociale fu rivolto alla battaglia per i diritti delle donne: Gut si può inserire infatti nel contesto femminista romano, costituendo parte del nucleo di “Rivolta femminile”, gruppo costituito da artiste e intellettuali italiane e straniere.
Nelle sue opere, il pizzo divenne filo e, oltre ad essere elemento di rilegatura, fu simbolo di cancellatura: manifestava in questo modo il rifiuto anche del pennino e non solo del pennello (l’utensile prescelto fu l’ago) a vantaggio del recupero del segno che si costruisce da sé e presuppone un’esperienza tattile del supporto che può essere attraversato dalla luce.
Il filo ristrutturava e la crocetta cucita dall’artista è un segno simbolico che rifiuta l’enunciato per valorizzare una strutturalità interna.
La poesia cancellata (come Blacheur-l’obscurité, 1981, poesia cancellata con il filo, 29.6 x 21 cm) diveniva lunghezza-filo di emissione vocale e l’occultamento della stampa porta con sé la logica poetica della conoscenza interiore (Mirella Bentivoglio).
Riconoscendo la struttura primaria dello strumento musicale nella verticalità dei suoi oggetti, Gut ha concepito strumenti che si mostrano come supporti di fili tenuti insieme da oggetti: sono chiavi del canto silenzioso, “archiviazione lirica dei reperti della salvazione”.
Il filo trattiene sassi, nidi d’api, brani di spartiti: elementi naturali ed elementi elaborati dalla cultura sono alla pari nell’identità della loro matrice energetica (si veda Strumento musicale, 1979, collage, alluminio, cartone, filo, elementi vegetali, note musicali, 22 x 6 cm).
Le esperienze precedenti sono confluite in pagine che inventariano l’espressione della terra e della storia del comunicare.
Le sue creazioni sono state presentate in importanti rassegne: a Parigi (1975), in Australia (1978), Materializzazione del linguaggio a Venezia (1978), a New York (1979), a Barcellona (1982), a Melbourne (1982), a Perth (1984), a Roma (1986), a Senigallia (1988), a San Paolo (1994), a Ferrara (1998).
Tra le mostre recentemente tenutesi si possono menzionare Semi-Segni a Roma (2009), Book Without Words: The Visual Poetry of Elisabetta Gut al National Museum of Women in the Arts di Washington (2010), Cutting through: the art of Elisabetta Gut alla Maitland Regional Art Gallery – Australia (2012) e La scuola delle cose a Pescara (2019).
Nella primavera del 2019 la Repetto Gallery ha presentato le sue opere in Threading spaces accanto a quelle di Franca Sonnino, Maria Lai e Nedda Guidi.
Le opere dell’artista sono conservate al MUSINF di Senigallia, al MART di Trento e Rovereto, al Centro Pecci di Prato, al MA*GA di Gallarate, al MRAG in Australia e al NMWA di Washington.
Collegamenti esterni