De Luca Michele

Informazioni

Nato a Pitelli (La Spezia) nel 1954, Michele De Luca ha approcciato alla pittura da autodidatta per poi iscriversi al Liceo Artistico di Carrara e all’Accademia delle Belle Arti di Firenze diplomandosi in scenografia, i cui echi della formazione si ritrovano ancora nelle opere che presentano successioni di piani.

Ha lavorato dunque come scenografo e ricercatore in teatro e al cinema e continua tutt’oggi a sperimentare diversi linguaggi espressivi, da quello pittorico a quello musicale, teatrale, letterario.

I dipinti dei primi anni ’80 sono stati caratterizzati da un forte accento espressionista e la figurazione era esasperata: fu l’avvio della fase selvaggia di accentuata estroversione.

Tra il 1986 e il 1987 diede vita ad un totemismo pittorico oggettuale di fitto intrico segnico densamente materico e polimaterico, come ravvisabile in Columna.

Proprio quell’anno (1987) fu quello della svolta: la personale presso la Galleria Break Club di Roma a cura di Borzi e Balmas fu decisiva e alla fine di quel decennio l’artista si protese verso una rivelazione luminosa, traccia-luce improvvisa, emergente entro un impattamento materico profondo talvolta impenetrabile nella sua spessa bituminosa corporeità (Enrico Crispolti).

Estraendo dal mondo della presentazione per portare nello spazio della rappresentazione, l’artista presentava una massa densissima scura e implosiva sulla quale si aprivano canali di discarica pulsionale attivati da materia vitale: la sostanza pittorica diveniva energia (Chiesa, Tiziano Campi, Sauro Cardinali, Michele De Luca, op. cit., p. 9).

Costante era il cromatismo scuro radicalizzatosi nel nero bituminoso entro/contro il quale insistevano l’olio-luce e il metallo-luce.

L’artista ha tradotto in pittura ciò che è impalpabile: progressivamente ha lavorato per sottrazione smaterializzando il proprio gesto sempre più rapido.

La luce è a fasce alterne ed introduce a possibili spazi siderali (Manuela Crescentini) mentre i fogli di metallo (alluminio) vengono punzonati e su questi l’artista interviene ad olio.

La resa della luce è resa in modo davvero eccezionale nonostante vengano utilizzati da sempre colori di qualità media.

Il bianco è intriso di vuoto e pieno di luce (Guglielmo Gigliotti) e dipingendola in questo modo l’artista ci mostra il vedere il vedere.

I materiali di supporto sono quasi sempre di riuso (alcune tavole di legno pieno sono state reimpiegate in quanto stondate e dunque concave) e vengono prescelti formati particolari (ad esempio la base di un tavolo ottagonale) che offrono di per sé l’idea di un moto, formati molto piccoli (per suggerire orizzonti con netti e sottili fasci luminosi) ma anche di dimensioni molto grandi (che permettono di lavorare con agio con la cosiddetta acqua sporca, blu-violacei e giallo-verdastri sono imbevuti di acquaragia e spalmati) che consentono di entrare in spazialità sempre basate su trame strutturali.

Riesce a garantire monumentalità anche nelle opere su carta continuando ad affrontare spazi di dimensione ambientale.

Ha esposto in molteplici città italiane (Roma, Genova, Pinerolo, Firenze, Livorno, Viterbo, Torino, Venezia, Perugia, Cagliari, Udine, Malo, Arezzo, Biella, Teramo, Cassino, Anacapri, Pienza) e all’estero (Seoul, Abu Dhabi, Melbourne, Buenos Aires, Alajarvi – Finlandia, Chiasso – Svizzera, Londra).

Dal 2016 aderisce a RAW (Rome Art Week) e nell’ottobre 2020 ha presentato due opere [Alphabeta 1 e Alphabeta 2, 2019, acrilico, carboncino, china e grafite su carta, 70 x 50 cm (ciascuno)] per la mostra Alphabeta presso la Alessandro Vitiello Home Gallery di Roma.