Accardi Carla

Informazioni

Nata il 9 ottobre 1924 a Trapani, dopo aver conseguito la maturità classica, sostenuta dal padre, seguì i corsi all’Accademia delle Belle Arti di Palermo e Firenze – dove si studiavano perlopiù Morandi e Rosai, stando alle parole dell’artista. Carla Accardi si stabilì a Roma nel 1946 insieme ad Antonio Sanfilippo, il pittore che sposerà. Dopo esser stata influenzata dal cubismo e affascinata dalla moderna rivisitazione del dinamismo futurista, in contatto con gli artisti presso lo studio di Guttuso in via Margutta, nel marzo del 1947 firmò il primo manifesto di Forma 1 («…convinti che i termini marxismo e formalismo non siano inconciliabili, specialmente oggi che gli elementi progressivi della nostra società debbono mantenere una posizione rivoluzionaria e avanguardistica e non adagiarsi nell’equivoco di un realismo spento e conformista che nelle sue più recenti esperienze in pittura e in scultura ha dimostrato quale strada limitata ed angusta esso sia») insieme ad Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Maugeri, Sanfilippo e Turcato. Con l’idea di affermare la supremazia del dato formale («nel nostro lavoro adoperiamo le forme della realtà oggettiva per giungere a forme astratte oggettive; ci interessa la forma del limone e non il limone») si impegnarono per il reinserimento dell’Italia nel contesto internazionale.

Accardi partecipò a numerose collettive in Italia e all’estero e nel 1950 tenne la sua prima personale alla Galleria Numero di Firenze. A Parigi nel 1951 (vi aveva già soggiornato nel 1946) strinse contatti con Arp, Picabia, Pevsner e Nina Kandinskij (per la chiarezza e l’ordine costruttivo) e con Alberto Magnelli (per l’estremo rigore architettonico). Oltre alla fondazione di Forma 1, occorre ricordare che Accardi supportò il Movimento per l’Arte Concreta, la cui idea centrale era l’autonomia da ogni riferimento naturalistico e da ogni desiderio di rappresentatività del reale, e nel 1952 espose presso la Galleria-Fondazione Origine (che doveva essere centro di documentazione internazionale sull’arte contemporanea con lo scopo di fare dell’arte non figurativa un mezzo dell’esigenza espressiva e comunicativa).

Il 1953 può essere considerato un «anno di crisi interiore, esistenziale»; avvicinandosi alle ricerche informali (tanto da essere invitata da Michel Tapié a prendere parte a manifestazioni artistiche internazionali tra il 1954 e il 1959 – fu accanto a Burri, Capogrossi e Fontana in “Individualità d’oggi” a Roma e partecipò a due esposizioni a Parigi volte a consacrare i giovani maestri dell’art autre europea), il linguaggio di Accardi si mosse verso un’astrazione ridotta al testo negativo bicromatico introducendo la caseina per disegnare segni bianchi su fondo nero. Questi lavori, presentati per la prima volta alla Galleria S. Marco di Roma, nacquero in seguito ad una «forte suggestione della fotografia, del cinema e della réclame»: erano «una selva, una natura reinventata parallelamente alla natura delle grandi costruzioni che venivano da me sognate e intraviste nella penombra, tornando la sera nello studio da sola. Allora rivedevo i lavori già fatti in bianco e nero e mi venivano le fantasie di ingrandire, di allargare. Erano immagini dettate da una mente abbandonate alle fantasticherie».

Tra il 1957 e il 1959 Accardi espose a Roma, Milano, Torino e in collettive internazionali.

Negli anni Sessanta, con l’adesione al gruppo Continuità nelle sue opere si riscontrò un recupero del colore (da Matisse e Balla), con riferimenti alla cultura metropolitana – vengono citati talvolta anche i post painterly abstract americani – e all’Optical art. Accardi descrisse questa fase come un alleggerimento della tensione di quel mondo nel quale si era immersa per non trascinarsi verso uno svuotamento. La ricerca contrassegnata da una continua sperimentazione la portò ad intervenire direttamente sulla plastica, un supporto trasparente e arrotolabile che le permetteva lo sconfinamento della pittura dalla parete all’ambiente [“Triplice tenda” (1976) con i segni sovrapposti e fluttuanti nello spazio ben incarna questa fase artistica]. Pensando di fare qualcosa che si potesse vedere dall’interno come il mausoleo di Galla Placidia, già nel 1965-66 aveva inscenato l’identificazione tra spazio e trasparenza permettendo la moltiplicabilità dei segni con la sua Tenda: con un riferimento alle architetture mobili e alla vita raffinatissima che vi conducevano alcune civiltà nomadi al loro interno, pittura, scultura, architettura e oggetto furono fusi insieme e se l’ambiente di luce poteva dirsi praticabile l’arte poteva considerarsi abitabile. “Ambiente arancio” (1966-68) emanava la solarità della Sicilia e testimoniava la conquista dello spazio e l’importanza dello stare a terra, che l’aveva rigenerata e in quel momento le consentiva di dare forza alla sua arte.

Negli anni Settanta progettò diverse installazioni con il sogno di collocarli all’aria aperta e alcuni tra questi (“Piccolo cilindro-cono” del 1972 per esempio) vennero ripresi o realizzati in dimensioni maggiori negli anni 2000. La mia vita è un simbolo. Dimenticare, mettersi in salvo (1978) fu un’opera nodale («Ho ricominciato a usare la pittura però non volevo tornare nel centro del quadro, sulla tela, sulla plastica, allora ho accostato la pittura partendo dai margini»). Accardi sperimentò nuove tecniche (spugnature, strofinature) e nuovi materiali (su tutti il sicofoil che, impiegato «per svelare i misteri che sono dietro l’arte», con la sua flessibilità, resistenza e soprattutto trasparenza le consentì di aumentare il potere di espansione luminosa del colore stesso).

Negli anni Ottanta, ritornando a dipingere su tela, il suo linguaggio subì un ulteriore cambiamento attraverso l’uso di segni e giustapposizioni cromatiche e l’artista ebbe modo di mostrare le varianti infinite di una fantasia formale perennemente astratta. Numerose personali e storicizzazione del percorso artistico si tennero a Ravenna, Milano, Erice, Madrid, Acireale, Genazzano e Toronto. Diverse furono le sue partecipazioni alla Biennale di Venezia: nel 1964, nel 1976 (sezione “Arte e ambiente” curata da Celant), nel 1978 e anche dopo dieci anni con una propria sala personale. Partecipò inoltre alle principali rassegne storiche sull’arte italiana, tra le quali “The Italian Metamorphosis 1943-1968” al Museo Solomon R. Guggenheim di New York (1994). Nominata membro dell’Accademia di Brera nel 1996, l’anno dopo divenne consigliere della Commissione per la Biennale di Venezia. Dopo aver scelto di tagliare col passato, Accardi non comprò mai un cavalletto: scelse di dipingere per terra e poi di usare un tavolo, mai vuoto fino al giorno prima della sua scomparsa. Amante del suo lavoro (anche in vacanza realizzava un’opera al mattino e una gouache il pomeriggio) ha sempre usato «la pittura come un’ispirazione di antipittura, è un desiderio di contraddizione». Si rese conto che questa può solamente sollevare profondi interrogativi sull’enigma della vita ed esortò l’osservatore a «lasciarsi cadere in una sorta di stato ipnotico in cui nel gioco visivo ambiguo e indefinito potrà provare la sensazione del libero fluire della vita». Ha fissato costanti che hanno permesso il maggior numero possibile di varianti, una festa di mutazioni in cui ciò che si ripete è solo l’atto del segnare. Il segno è stato una generatrice di segni, tracce visibili di una interna dinamica dell’immagine (Bucarelli 1983). Evitando ogni stilizzazione decorativa, il principale agente strutturale è stato l’intreccio secondo una riduzione graduale della prima morfologia segnica varia. La luce è stata vissuta come effetto del colore e le installazioni rigorose sono al centro del suo desiderio di ricerca formale oltre i limiti del quadro. Accardi ci ha insegnato che la parte raffinata della maturità sta nel togliere. Frequentatrice assidua di mostre, sempre circondata da giovani di cui curiosamente si interessava senza parlare del suo lavoro, avendo come scopo quello di «rappresentare l’impulso vitale che è nel mondo», Accardi ci ha lasciati il 23 febbraio del 2014. Frutto delle più prolifiche e vitali figure dell’astrattismo italiano, le sue opere sono presenti nelle collezioni della GNAM di Roma, del Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli (Torino), delle Gallerie Civiche di Modena e Bologna, del Palazzo Reale di Milano e del Museo Civico di Torino. È presente anche nella Collezione Farnesina – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale con le seguenti opere: Cornici e corde (1997, vinilico su tela), Accondiscendi a contatti (2005, vinilico su tela), Si dividono invano (2006, pannelli scomponibili in smalto su legno) e Bianca ombra (2012, acrilico su tela). Accardi ha inoltre realizzato interventi per spazi pubblici e strutture monumentali, quali le superfici per il Comune di Gibellina, per la sede FAO a Roma, per la stazione metropolitana a Napoli e per la chiesa del Santo Volto di Gesù a Roma.

A testimonianza dello spessore storico-artistico e della caratura di Accardi (denominata da Laura Cherubini «maestra di vita») si citano infine le tre mostre organizzate nell’ultimo anno: “Carla Accardi – Antonio Sanfilippo. L’avventura del segno”, a cura di Sergio Troisi, per ripercorre un importante capitolo della storia dell’arte italiana del Novecento nei suggestivi ambienti del Convento del Carmine di Marsala (TP) , “Carla Accardi. Contesti”, parte del palinsesto “I talenti delle donne”, promosso e coordinato dall’Assessorato alla Cultura, presso il Museo del Novecento di Milano dove il percorso si articola in sezioni tematiche e “Carla Accardi” al MAXXI di Roma dove sono esposti “Casa Labirinto” (1999-2000) e due “Bianco e Argento” per la mostra “Senza margine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio”.